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EvEco-SkiAdventure2019: Pronti per la scalata dell’Everest

Data di pubblicazione:
17 Maggio 2019

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Prosegue l’avventura di Edmond Joyeusaz, tra operazioni umanitarie e ambientali. Terminata la fase di acclimatamento, la spedizione adesso è pronta alla salita.

Da Namastè, che significa, in nepalese, saluto la divinità che c’è in te, a Tashi Delek, che in tibetano è un augurio di buona fortuna. Due saluti emblematici, che rappresentano idealmente e geograficamente il percorso della spedizione.

Ci siamo lasciati ad aprile all’inizio di questa avventura, e siamo pronti ad accompagnare – metaforicamente s’intende – la spedizione nella salita sull’Everest.

Attraverso il blog dei protagonisti restiamo aggiornati sugli spostamenti e sui progressi dell’impresa. Dalla voce in prima persona degli alpinisti, che con le loro parole e con le foto raccontano i momenti principali della spedizione, scopriamo esperienze, mondi e culture lontane, per molti sconosciute.

È terminata in questi giorni la fase di acclimatamento, che dura mediamente una ventina di giorni, ed ora è il momento dell’attesa. Un’attesa in cui il contesto rende tutto più difficile, con l’alta quota che condiziona e complica la quotidianità. L’attesa della “finestra” di bel tempo che dà la possibilità agli alpinisti di salire in vetta.  

L’acclimatamento funziona per piccoli passi: dal campo precedente si sale al campo successivo, si resta il necessario e poi si riscende. Oltre una certa quota non ci si acclimata più.

Dal Campo base, a circa 5000 mt, si sale al Campo intermedio (6.187 mt) e poi al Campo base avanzato (6.492 mt), per poi arrivare al Campo I a 7050, l’ultimo prima di scalare la vetta. Una volta passata la notte a 7050 l’acclimatamento è terminato: restano gli ultimi 2 campi che conducono alla cima, Campo II a 7500 mt e Campo III a 8300 mt.

L’acclimatamento, lo leggiamo dalle parole degli alpinisti, impone ritmi nuovi e diversi da quelli a cui siamo abituati: ci si trova a dovere affrontare condizioni estreme, dalla forte escursione termica alla mancanza di ossigeno e al fiato corto che accompagna le continue pause, dalla disidratazione alla fatica fisica e psicologica. Poi, pian piano, ci si abitua e ci si sente meglio. Migliora il morale, la speranza di farcela.

Durante questa fase di lenta salita e ridiscesa sono state portate avanti le operazioni ambientali previste dalla spedizione, con la pulizia dei rifiuti abbandonati da alpinisti e trekker nel corso degli anni. Tra resti di scatole, indumenti, tende e altri resti di passate spedizioni, è stato trovato e smaltito persino un pannello solare lasciato dopo le olimpiadi di Pechino: nel 2008 il governo cinese decide che la fiaccola olimpica va portata in cima all’Everest e, per filmare l’evento, porta lungo il percorso numerosi pannelli solari e ripetitori, che vengono poi abbandonati lungo le montagne.

Oltre a portare un contributo in ambito ecologico, la spedizione ha un risvolto sociale, grazie a un’azione umanitaria per la scolarizzazione e il sostentamento dei bambini ospiti in due tra i maggiori orfanotrofi di Kathmandu.

E proprio attraverso il blog leggiamo della visita al Centro di Assistenza ai Bambini Disabili, un’organizzazione non governativa nata per aiutare i bambini disabili delle regioni più remote del Nepal, Himalaya prima fra tutte, e alla Monviso Nepal Foundation che opera nel campo dell’istruzione, della salute e dello sviluppo rurale con lo scopo di  aiutare i bambini senza sradicarli dal loro territorio.

Ma ecco, l’attesa è praticamente finita, siamo alle soglie della salita. Noi, insieme alla spedizione, attendiamo che le condizioni siano favorevoli, attendiamo la scalata, con un pizzico di emozione e orgoglio, per essere parte di questo bellissimo progetto.

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